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Dona un Sorriso

Prima Esperienza coi Rifugiati

2013 - Ci si apre ai Rifugiati

Parto anche qui dall’inizio

Il volontariato e l'Africa

Ero approdato alla Caritas Ambrosiana nel 1987, operandovi come volontario per una dozzina di anni. Come spesso accade, vi ero arrivato a seguito di un intreccio di situazioni, di impegno, opportunità, conoscenza di fatti e persone. Nel 1986 si era sciolta l’associazione di volontariato internazionale per la quale mi ero impegnato per una ventina di anni, a partire dal mio ritorno dall’Africa. Su quell’Associazione è stato persino scritto un libro (Omar Viganò – UNA SCELTA DELL’ALTRO MONDO – ed. il Sirente). Ne ero stato uno dei fondatori nel 1967 e ne fui il liquidatore, tutto ovviamente a titolo volontario. La parte più delicata della liquidazione era la destinazione di un appartamento di proprietà situato in via Plinio a Milano, una zona centrale. Dopo qualche ricerca e un po’ di contatti, la mia scelta cadde sulla Caritas Ambrosiana, che garantiva l’utilizzo dell’immobile in favore di un settore ancora scoperto: l’accompagnamento dei Rifugiati Politici o richiedenti asilo nel loro percorso di integrazione nel territorio. La cosa mi era piaciuta e avvenne così la donazione. Per la mia storia pregressa, ero in Caritas la persona che più di altre aveva esperienza per quanto riguarda l’approccio con persone di cultura diversa dalla nostra, e fu così che mi trovai impegnato in questo campo. L’appartamento di via Plinio, divenuto quindi di proprietà della Caritas Ambrosiana, divenne quindi una base in cui ospitare dei Rifugiati e coinvolgere altri volontari ad operare in questo delicato settore. Ero direttore organizzativo della casa e mi piaceva ascoltare gli ospiti e le loro storie.

Incontri

Ricordo che una sera, arrivando, trovo un ospite nuovo, un angolano appena arrivato.
Altri africani presenti mi dicono: “è arrivato uno nuovo, stai attento, non farlo arrabbiare, perché ha già ammazzato otto poliziotti in una sola volta!”. Ecco la sua storia.
Era nato quando c’era la guerra. Aveva trent’anni e la guerra non era mai cessata. La solita guerra civile per procura… a farla erano i giovani, con la divisa da poliziotto oppure con quella da ribelle. Quando la frittata si girava, si scambiavano divisa e andavano avanti ad ammazzarsi come prima. Un giorno (lui in quel momento era un ribelle) era riuscito a passare da casa sua, dove aveva la moglie e tre bambini. Arriva una camionetta con otto poliziotti, lui la vede per tempo e si nasconde nel forno del pane senza farsi vedere, fuori in giardino. Uno di quei forni a semisfera con lo sportello abbastanza grande e uno spioncino sopra. Sente degli urli, ma non può far niente. Passano minuti e minuti, fra urli e silenzi… poi sente degli spari. Lui nel forno aveva portato il suo Kalashnikov, ma non poteva usarlo se prima non aveva a tiro tutti gli otto poliziotti. Anche un solo superstite avrebbe subito lanciato verso il forno una bomba a mano. Vede che caricano delle cose sulla loro camionetta, poi portano fuori, in giardino i cadaveri della moglie e dei tre bambini. A quel punto però sono là tutti otto…

Dopo l’eccidio si veste da poliziotto, sale sulla loro camionetta e fugge.
Parlava a scatti, nervosissimo. Parlava portoghese, aveva l’espressione stravolta e i bulbi oculari gialli.
“Vedi – gli dissi mentre un altro angolano traduceva – tu non potrai mai dimenticare gli orrori che hai visto e il male che hai ricevuto. Queste cose ti seguiranno come un’ombra per tutta la vita, ma tu sei un africano e so che sai elaborare il dolore molto meglio di noi bianchi. Adesso pensa sempre ad una cosa sola: sei qui, in un paese dove nessuno ti sta cercando per farti del male e da dove nessuno ti caccerà mai via”.
Non riuscì a sorridere, ma mi guardò molto intensamente e trovai strana quella cosa, perché un africano ben difficilmente guarda negli occhi un bianco.

Questo incontro, così come altri altrettanto intensi, è stato fra quelli che tengo gelosamente conservati nei livelli profondi del mio sentire.
Fui co-fondatore di un’Associazione che per diversi anni ha gestito appartamenti presi in affitto e messi a disposizione degli ospiti Rifugiati. Nel 1998 uno di questi appartamenti fu messo a disposizione di quell’Associazione per questo scopo dalla Parrocchia San Carlo di Bresso e trascorse qualche anno.

2012 - Il problema dei Rifugiati esplode

Poi, nel 2012 mi arrivò una telefonata del Parroco di Bresso. Che cos’era successo? Che la Libia stava esplodendo, in quanto alcuni paesi europei (soprattutto la Francia) erano andati a mettere il naso in quel paese mettendo in seria crisi il suo capo, il dittatore Gheddafi, poco incline ad assecondare totalmente gli interessi europei. In Libia in quegli anni la gente stava bene, tutti avevano dallo stato dei ricchi contributi derivanti dalle esportazioni di carburanti, e il paese pullulava di neri sub-sahariani che si prestavano come domestici o operai per tenere in piedi il paese. E al buon (?) Gheddafi che cos’è venuto in mente? Non volendo – o non potendo – mandare dei missili in Francia, ha dato ordine di caricare tutti gli africani residenti in Libia per una traversata gratis alla volta dei porti italiani più vicini. Tutta questa povera gente non aspettava altro e così ne arrivarono a migliaia e per l’Italia fu un bel problema. In Italia c’era il governo Monti e ministro degli interni era Anna Maria Cancellieri, una donna che sapeva il fatto suo. 

Le case di Bresso

La prefettura di Milano stipulò con la Caritas Ambrosiana e con alcuni Comuni dell’hinterland un protocollo per l’accoglimento di un certo numero di profughi. L’idea era molto buona e io mi trovai dentro fino al collo. La Caritas metteva i fondi necessari per la sopravvivenza di undici profughi e il Comune di Bresso metteva a disposizione a questo scopo tre modesti alloggi, uno affittato e due di proprietà comunale.

Pur con le sue luci ed ombre, quell’esperienza terminò bene dopo un anno e io corsi dal Sindaco di Bresso per dirgli di non sognarsi nemmeno di riprendere possesso dei due alloggi di proprietà: l’esperienza positiva esigeva che si desse continuità a questo settore di intervento, anche perché nel territorio c’era un team ormai competente e motivato che avrebbe potuto prendersi carico della gestione.
C’era però un problema. Il protocollo Prefettura/Caritas/Comune era in scadenza e sarebbe stato necessario dare una veste giuridica all’iniziativa mediante un’associazione di Bresso. Come dicevo, con alcuni volontari ci si occupava dei Rifugiati alloggiati nell’appartamento della Parrocchia di San Carlo sin dal 1998, ma il referente giuridico era l’Associazione nata attorno alla casa di Via Plinio a Milano e aveva sede in Milano. Che fare?
Dopo averci pensato bene, decidemmo di aprire una sezione di DONA UN SORRISO che si occupasse di Rifugiati, e così, alla fine del 2012, fu sottoscritto un accordo fra noi e il Comune di Bresso per l’utilizzo dei due alloggi in favore dei Rifugiati e per il loro accompagnamento nel loro difficile percorso di integrazione nel territorio.

Ecco dunque la storia, presa bene alla lontana, di come DONA UN SORRISO sia giunta ad occuparsi di questo delicato settore di attività.’

E questi sono i quattro centri per Rifugiati gestiti da DONA UN SORRISO a Bresso: tre presenti sin dal gennaio 2013, a cui si è aggiunto, nel settembre 2020, il nuovo alloggio nei pressi della Madonna della Misericordia.

Chi ha due tuniche...

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